I DIRITTI NON VANNO IN VACANZA
Lo scopo del costume da bagno è quello di proteggere il corpo, per quanto possibile, da sole, acqua, sabbia e sguardi indiscreti. Questo stava alla base dell’indossare un vero e proprio “abito da bagno” a fine ‘800,
mentre dall’inizio degli anni ’20 si è passati a coprire fino al ginocchio e solo in seguito si sono progressivamente scoperte le gambe sino ad arrivare al bikini nel 1946. Al giorno d’oggi penso si vedano in spiaggia costumi di ogni sorta, dall’intero al trikini, dal bikini al topless. Insomma più ci si scopre meglio è e non è progresso, che implica un avanzamento verso un concetto di “giusto” che non esiste, ma semplice cambiamento socio-culturale.
Poi d’un tratto qualcuno decide di coprirsi e molti non si fanno scrupoli prima di mettersi ad additarlo e criticarlo.
Non ha ragione chi si scopre, non ha ragione chi si copre, ha ragione chi si sente in sintonia con sé e gli altri e perché questo accada bisognerebbe preoccuparsi del sorriso delle persone più che dei loro gusti in fatto di moda. L’abitudine non decreta la correttezza di qualcosa, semplicemente ne determina la popolarità. In questo come in altri casi il “non uguale” viene erroneamente etichettato come “sbagliato”. Essere pudici non significa essere retrogradi, avere una concezione diversa della sensualità e della sessualità non significa “essere rimasti indietro”, sia chiaro.
Trovo che nel 2016 ognuno debba avere la libertà di indossare gli indumenti che preferisce, a meno che non si tratti di un’imposizione; ritengo che io, il passante di turno e le persone che vivono dell’altra parte del mondo debbano vedersi riconosciuto il sacrosanto diritto di scegliere in tutto, abbigliamento incluso. Sono cosciente del fatto che questo diritto non sia riconosciuto ovunque, purtroppo, ma quello che mi lascia allibita è l’ipocrisia di chi si autodefinisce “di larghe vedute” e in nome di queste condanna il “burkini”.
Voler garantire i diritti a tutti significa in primo luogo non limitarne li libertà ma garantirgliene di nuove e soprattutto ricordarsene sempre, non solo quando conviene per alimentare odio e divisioni.
Se qualcosa offende le donne questo è probabilmente il maschilismo di frasi e battute che sembrano prolificare invece che diminuire di giorno in giorno; il fatto che sul luogo di lavoro si pensi di potersi concedere determinate libertà, verbali o gestuali, in presenza di una donna; l’uso dell’immagine delle donne senza veli a fini promozionali; il perpetuarsi di stereotipi sessisti. Giudizi lesivi della libertà di scelta ed espressione sono inaccettabili, lo sono ulteriormente se proferiti dalle labbra di persone in primo luogo irrispettose delle stesse libertà.
Spero che l’argomento tanto discusso di questi giorni non si chiuda insieme agli ombrelloni delle spiagge, ma che possa mettere in dubbio la certezza di chi si crede tanto progressista e al passo coi tempi.
Impariamo a rispettare la donna giorno per giorno e a lasciarle indossare il costume con il quale si sente maggiormente a suo agio e insieme a lei proviamo a rispettare uomini, bambini, anziani, tutti senza distinzioni. Fatto questo forse potremo dire di avere davvero a cuore i diritti, senza se e senza ma.
Elisa
mentre dall’inizio degli anni ’20 si è passati a coprire fino al ginocchio e solo in seguito si sono progressivamente scoperte le gambe sino ad arrivare al bikini nel 1946. Al giorno d’oggi penso si vedano in spiaggia costumi di ogni sorta, dall’intero al trikini, dal bikini al topless. Insomma più ci si scopre meglio è e non è progresso, che implica un avanzamento verso un concetto di “giusto” che non esiste, ma semplice cambiamento socio-culturale.
Poi d’un tratto qualcuno decide di coprirsi e molti non si fanno scrupoli prima di mettersi ad additarlo e criticarlo.
Non ha ragione chi si scopre, non ha ragione chi si copre, ha ragione chi si sente in sintonia con sé e gli altri e perché questo accada bisognerebbe preoccuparsi del sorriso delle persone più che dei loro gusti in fatto di moda. L’abitudine non decreta la correttezza di qualcosa, semplicemente ne determina la popolarità. In questo come in altri casi il “non uguale” viene erroneamente etichettato come “sbagliato”. Essere pudici non significa essere retrogradi, avere una concezione diversa della sensualità e della sessualità non significa “essere rimasti indietro”, sia chiaro.
Trovo che nel 2016 ognuno debba avere la libertà di indossare gli indumenti che preferisce, a meno che non si tratti di un’imposizione; ritengo che io, il passante di turno e le persone che vivono dell’altra parte del mondo debbano vedersi riconosciuto il sacrosanto diritto di scegliere in tutto, abbigliamento incluso. Sono cosciente del fatto che questo diritto non sia riconosciuto ovunque, purtroppo, ma quello che mi lascia allibita è l’ipocrisia di chi si autodefinisce “di larghe vedute” e in nome di queste condanna il “burkini”.
Voler garantire i diritti a tutti significa in primo luogo non limitarne li libertà ma garantirgliene di nuove e soprattutto ricordarsene sempre, non solo quando conviene per alimentare odio e divisioni.
Se qualcosa offende le donne questo è probabilmente il maschilismo di frasi e battute che sembrano prolificare invece che diminuire di giorno in giorno; il fatto che sul luogo di lavoro si pensi di potersi concedere determinate libertà, verbali o gestuali, in presenza di una donna; l’uso dell’immagine delle donne senza veli a fini promozionali; il perpetuarsi di stereotipi sessisti. Giudizi lesivi della libertà di scelta ed espressione sono inaccettabili, lo sono ulteriormente se proferiti dalle labbra di persone in primo luogo irrispettose delle stesse libertà.
Spero che l’argomento tanto discusso di questi giorni non si chiuda insieme agli ombrelloni delle spiagge, ma che possa mettere in dubbio la certezza di chi si crede tanto progressista e al passo coi tempi.
Impariamo a rispettare la donna giorno per giorno e a lasciarle indossare il costume con il quale si sente maggiormente a suo agio e insieme a lei proviamo a rispettare uomini, bambini, anziani, tutti senza distinzioni. Fatto questo forse potremo dire di avere davvero a cuore i diritti, senza se e senza ma.
Elisa
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